Molto prima di affrontare l’argomento della magia e della pratica cosiddetta ‘stregonica’ che si sviluppò e sopravvisse per lunghi secoli nel mondo germanico e nordico dalla sua nascita, vale la pena approfondire il vasto sommerso delle argomentazioni che sottendono alla nascita del pensiero esoterico nella tradizione spirituale dei popoli antichi.
La storia della mitologia germanica e la sua stessa sostanza storica, molto lontana dall’intenzione divulgativa pubblica come oggi la conosciamo, risulta nell’epoca contemporanea molto complessa agli studiosi come agli appassionati conoscitori della materia ovvero i neofiti. Essa sfugge infatti alle diverse direzioni di classificazione intentate nel corso dei decenni.
L’intero organigramma della narrazione non ha un corpus omogeneo ed ha in parte beneficiato di una chiara intenzione di strutturazione sistemica. Lo sforzo intellettuale rilevato nell’area degli studiosi che vi si dedicarono lo possiamo rilevare per esempio dal lavoro di analisi di Georges Dumézil, filologo linguista e studioso delle religioni noto per aver formulato l’ipotesi trifunzionale sulla mitologia e sulla società protoindoeuropea sotto l’influenza del famoso filologo olandese Jan de Vries e anche da Otto Höfler.
Parliamo del modello ternario che organizza la relazione tra le diverse categorie del sistema delle antiche società indoeuropee caratterizzate da una gerarchia trifunzionale composta rispettivamente da sacerdoti, guerrieri e popolani.
Proprio da questo assunto, ovvero dalla concezione storica derivante dalla prima categoria, espressa e parte di una una riflessione non unica sulla pratica (il modello trifunzionale di Dumézil) i sacerdoti erano responsabili del mantenimento della sovranità magico/giuridica, i guerrieri dell’esercizio della prodezza fisica mentre i popolani erano responsabili della promozione del benessere fisico, della fertilità e fecondità.
Secondo il contributo fondamentale fornito da Régis Boyer, docente di lingue, letterature e civiltà scandinave nell’Università di Parigi-Sorbona e direttore dell’Institut d’Études Scandinaves presso lo stesso ateneo a tal proposito, si espone invece una diversa struttura tripartita di modello verticale.
L’autore seleziona tre livelli di importanza ed unicità per il popolo in esame: Sole, Acqua e Terra. Strutture che godono di una propria differenziazione rispetto a tutti gli altri gruppi mitologici intesi come luoghi che si interrelazionano nel mondo pagano del Nord.
《L’universo religioso e mentale dei popoli germanico/nordici del passato è talmente intriso di magia che studiarlo significa analizzarne l’importanza, il ruolo e le sfumature nozionistiche》 (Boyer)
È importante sottolineare la ricca diversità del mondo nordico medievale, un’area che abbracciava gran parte del Nord Europa, tra cui la Groenlandia, l’Islanda, le Fær Øer, le Shetland e parti delle regioni insulari e Scozia costiera; comprendeva anche l’odierna Norvegia, Danimarca, Svezia e Gotland, ma anche parti della Finlandia costiera e altre aree intorno al litorale baltico, e si estendeva a sud della Germania.
Il mondo nordico religiosamente inteso si rivela di per sé come una complessa e ramificata catena esoterica che confluisce da molteplici realtà culturali e sociali. La Scandinavia tardo medievale possedeva economie sia alpine che marittime, snodata in territori ricchi di terreni agricoli, miniere, valli remote, fattorie isolate, varietà di persone (nate all’estero e autoctone) parlanti in vari dialetti germanici, finnici e balto-slavi. Uno scenario sempre più fertile per la proliferazione di più culture esoteriche che sfociano nelle pratiche del simbolo runico.
La stregoneria in primis si amplifica tra i ceppi euro asiatici e le snodate linguistiche occidentalizzate.
Il mondo nordico è ricco di risorse per lo studioso della cultura popolare medievale, forse soprattutto per quanto riguarda la stregoneria: Stephen Mitchell nota un’ampia gamma di testi non normativi, fornendo approfondimenti su come l‘immagine della strega sia stata costruita nel mondo scandinavo, fornendo opportunità di esaminare realtà che vanno oltre le condanne della magia e dei suoi praticanti, da parte di autori che rappresentano la chiesa e lo stato.
Su tutti questi materiali che siano leggi, letteratura, cronache storiche, statuti, poemi scaldici, preghiere, arti, bisogna porsi le stesse domande: non solo quando e dove furono scritti, ma anche per chi, a quale scopo, sotto quale influenza.
Tra i documenti più rilevanti che accennano alle prime pratiche ci sono quelli scritti da e per conto della chiesa. Divieti contro la stregoneria e la magia furono sviluppati e promulgati prima di tutto da questo sottile segmento della società, ed è in modo schiacciante la fonte che diffonde informazioni su gran parte della stregoneria nordica medievale.
Nessuno di questi codici è abbastanza antico da fornire una testimonianza diretta sull’XI secolo, ma la ricostruzione attraverso il dato storico è la perfetta chiave di lettura che ci permette di applicare una parziale ricostruzione del culto pagano.
Molti testi che legiferano contro le pratiche pagane possono essere tra le nostre più affidabili fonti, che ci permettono di indagare e vedere i dati della prima stregoneria nordica, cioè opinioni su questo mondo che non sono state plasmate, decontestualizzate e distorte per meri scopi narrativi.
Così, ad esempio, gli statuti che regolano l’area del fiordo occidentale della Norvegia, (Gulaþingslög), conservati principalmente nei manoscritti del XIII secolo, ma che si ritiene siano stati registrati per primi un secolo prima e abbiano radici orali ancora più antiche, sono uno specchio della realtà pagana.
Un’ulteriore importante finestra su quel mondo, che annulla la distanza culturale che si lega alle fonti testuali, è fornita dalla documentazione archeologica.
La chiave della nostra comprensione è il fatto che, sebbene il contenuto di certe iscrizioni possa essere correttamente inteso come relativo al mondo religioso degli scandinavi precristiani e cristiani, la scrittura stessa non è né più né meno ”carica” di quanto sarebbe se fosse scritta in caratteri latini su pergamena.
“Nella società senza memoria collettiva l’organizzazione avviene in tre tempi: identità collettiva del gruppo, che si fonde nei miti; il prestito della famiglia dominante; il sapere tecnico, che si trasmette attraverso formule pratiche intrise di magia religiosa”. (Le Goff)
Lo studio di Walter J. Ong ha gettato la base per molti innovativi processi di antropologia del ‘900 in tema di ricezione e trasmissione delle culture arcaiche. Specificando che queste sono culture che viaggiano sui suoni del mito. Anche Tacito, nel parlare del popolo germanico specifica lo stretto rapporto che coesiste tra resoconto storico/leggendario del mito e la tradizione poetica orale.
È con gli studi del romanticismo tra il 700/800 di ambiente tedesco che autori come Lachmann, sull’osservazione di Wolf, scoprono che sulla poesia arcaica e le tradizioni popolari naviga il frutto di un bagaglio culturale tutto ancora in esplorazione.
Lachmann elaborò da qui una teoria di composizione poetica (Liedertheorie) che trovò applicazioni nella raccolta epica del Kalevala. Solo dopo secoli, con il lavoro di autori come Parry e Lord, essa si accorpa nella rielaborazione così definita come Oral-formulaic Compisition Theory, focalizzata sul rapporto oralità e memoriali.
Questo non per avvalorare l’importanza di una tradizione orale rispetto ad una scritta, ma per riuscire a portare una sorta di chiarezza su fondamentali aspetti dell’oralità, che non deve mai essere sminuita né ostacolata rispetto ad un’altra tradizione.
La stregoneria in Islanda differiva per molti aspetti da quella trovata altrove; in considerazione del fatto che la struttura sociale ed economica dell’Islanda era diversa da quella di altri paesi.
Le vittime della persecuzione tendevano ad essere persone comuni, alcune anche abbastanza benestanti. In Islanda solo pochissime donne furono accusate di praticare la stregoneria; la ragione principale di ciò era che la stregoneria in Islanda era legata a un’area di conoscenza che era stata per lungo tempo sotto il dominio degli uomini.
La maggior parte dei casi di ritrovamento di manufatti di artigianato nell’Islanda del XVII secolo riguardava rune o simboli magici che potevano essere scritti su vellum o carta, o scolpiti in legno, osso o altri materiali, da soli o in connessione con qualche incantesimo.
Spesso si trattava semplicemente di lettere dell’alfabeto latino, ma erano comuni anche lettere runiche o caratteri composti da più rune unite insieme o modellate secondo qualche altra regola dispositiva rappresentata come “darkletter”.
Si credeva che nella lingua stessa ci fosse una forza capace di alterare il corso degli eventi, una forza che poteva essere usata nel bene o nel male. Questa credenza nel potere del linguaggio è chiaramente manifestata nei documenti relativi ai processi di stregoneria in Islanda, nella stragrande maggioranza dei quali si possono trovare riferimenti a lingua scritta di qualche tipo, sia su fogli singoli, in opuscoli, sia su tavolette.
Tutti questi scritti hanno come base una semiologia del tutto estranea alla mente moderna. Un simbolo individuale era più di un semplice segno materiale o la rappresentazione fisica della realtà. I suoi elementi non erano due, come lo sono per noi ora, significato e forma, ma piuttosto tre: accanto al suo significato e alla sua forma fisica c’era un altro elemento e un’altra forma, ma con un’importanza piuttosto profonda che può essere chiamata “potenza” del simbolo. Il “Megin”.
Questo potere risiedeva all’interno del simbolo stesso, ed era separato e indipendente dalle forze esterne. Il risultato è il forte legame tra simbolo e oggetto o tra idea e numero, che racchiudeva il significato di tutto il mondo naturale circostante.